Complicanze della chirurgia protesica d’anca

Pur essendo uno degli interventi considerati più sicuri nell’ambito della chirurgia ortopedica, anche la chirurgia protesica di anca può dar luogo ad alcune complicanze che possono sorgere nell’immediato periodo post operatorio o anche dopo tanti anni. La via d’accesso utilizzata per l’intervento può rendere le complicanze più o meno gravi e più o meno probabili e questo è uno dei motivi per cui prediligo la via anteriore. Vediamo nel dettaglio.

La chirurgia protesica d’anca

Quando parliamo di chirurgia protesica in ambito ortopedico ci riferiamo alla sostituzione, totale o parziale, di un’articolazione danneggiata da traumi o patologie con un impianto artificiale. Nel caso dell’anca, a essere sostituiti sono la testa del femore e l’acetabolo cioè la cavità che la contiene. Al giorno d’oggi le forme e i materiali utilizzati per le protesi sono sempre più moderni e performanti e garantiscono una longevità agli impianti sempre maggiore come già vi ho spiegato qui

Le percentuali di successo della chirurgia protesica d’anca sono altissime: più del 90% delle persone che si sono sottoposte a un intervento di questo tipo hanno riscontrato una notevole diminuzione del dolore e un significativo miglioramento della funzionalità articolare e dunque della capacità di svolgere le attività della vita quotidiana, anche sportive.

Le complicanze: quando non tutto va per il verso giusto

Nonostante ciò che abbiamo detto qui sopra, anche la chirurgia protesica d’anca – come tutti gli interventi chirurgici – può dar luogo a complicanze. Il tasso di insorgenza è comunque molto basso, specie se parliamo di quelle più gravi che si verificano in meno dell’1% dei pazienti e che possono aumentare in presenza di patologie croniche pregresse. A seconda del momento in cui si verificano, le complicanze possono essere distinte in:

  • acute (intra e peri operatorie)
  • subacute (entro l’anno)
  • croniche (a distanza di tempo, oltre i 15-20 anni).

Complicanze acute

Tra queste annoveriamo la dismetria cioè la differenza di lunghezza che può residuare tra gli arti al termine dell’intervento e può dipendere da fattori meccanici intraoperatori o da situazioni particolari relative alla patologia che ha reso necessaria l’operazione. Si tratta di una condizione comunque non grave in quanto abitualmente contenuta entro il centimetro circa. 

Un rischio piuttosto raro (inferiore all’1%) è la frattura intraoperatoria. Legata perlopiù alla fragilità del tessuto osseo femorale a causa dell’osteoporosi, può rendere necessario l’utilizzo di tecniche o di protesi particolari.

Complicanze subacute

In questa categoria annoveriamo le mobilizzazioni (cioè il distacco delle componenti protesiche dall’osso) e le infezioni. Queste ultime sono da considerarsi un’eventualità piuttosto seria che può manifestarsi in forma più acuta con febbre alta, forte dolore e calore locale oppure in forma più subdola con febbricola persistente ed eventuali fistolazioni cutanee secondarie. Per ridurre al minimo la possibilità di quest’ultima complicanza viene somministrata una profilassi antibiotica preventiva. 

Rare, ma possibili, le allergie alle componenti metalliche della protesi nei casi in cui il paziente non sia a conoscenza di questo tipo di intolleranza. 

Anche la lussazione, sebbene rara, è possibile nel primo periodo post operatorio ed è solitamente causata da incauti movimenti articolari. In alcuni casi può rendere necessario un intervento di revisione.

Si può infine verificare anche un ritardo di cicatrizzazione della ferita con diversi livelli di gravità: dal semplice arrossamento con transitoria essudazione a vere e proprie piaghe con necrosi dei tessuti che possono rendere necessari interventi successivi di chirurgia plastica.

Complicanze croniche

Tra le principali annoveriamo l’allentamento della protesi e le infezioni ematogene. Nel primo caso si tratta di una progressiva riduzione del contatto tra lo stelo della protesi e l’osso femorale nel quale lo stelo è inserito. Tale condizione è dovuta all’invecchiamento dell’impianto e causa dolore e instabilità articolare.

A distanza di anni dall’intervento le infezioni più frequenti sono quelle ematogene. Sono trasportate attraverso la circolazione sanguigna da altri focolai infettivi presenti nel paziente come ad esempio infezioni dentarie non curate. In questi casi è importantissima la diagnosi precoce che può consentire un semplice intervento di pulizia chirurgica senza la necessità di rimuovere la protesi.

Complicanze e vie d’accesso chirurgiche: i vantaggi della via anteriore

La scelta di una via d’accesso chirurgica rispetto a un’altra può rivelarsi di fondamentale importanza anche nel ridurre il tasso di complicanze. Con la via anteriore diretta ad esempio, pur essendo più frequente la resezione del nervo femoro cutaneo superficiale (nel 60% dei casi, ma si tratta di una situazione facilmente risolvibile) si riducono pressoché tutte le altre possibili complicazioni. Tra i principali vantaggi:

  • si riduce quasi a zero il rischio di lussazione perché i muscoli non vengono tagliati durante l’intervento
  • il rischio di infezioni si riduce notevolmente passando dallo 0,7-0,8% delle tecniche tradizionali ad appena uno 0,3-0,4%
  • è possibile un controllo millimetrico della lunghezza degli arti: grazie alla posizione supina in cui è posizionato il paziente durante l’intervento si possono confrontare e pareggiare gli arti  in modo preciso

è possibile controllare la stabilità dell’impianto già durante l’intervento: l’arto da operare durante la procedura non è vincolato pertanto si possono valutare i movimenti a rischio di lussazione e avere una sicurezza quasi totale per il post operatorio. Tutto questo garantisce un vita dopo l’operazione senza le restrizioni tipiche delle procedure classiche.

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