Malformazioni o esiti di frattura: è possibile intervenire con la via anteriore?

La via anteriore diretta per l’impianto di protesi d’anca è una tecnica chirurgica sempre più utilizzata perché presenta per il paziente numerosi vantaggi rispetto alle vie d’accesso tradizionali. In genere si ritiene che le indicazioni per questo tipo di intervento siano limitate a casi molto specifici, ma ciò è vero solo in parte. Anche in caso di malformazioni o di esiti di fratture la via anteriore può essere utilizzata, sebbene con le opportune cautele. Ve le descrivo in questo breve articolo.

Cos’è la via anteriore?

Quando parliamo di impianto di protesi d’anca ci riferiamo a un intervento che può essere svolto in diverse maniere. Le tecniche chirurgiche si differenziano principalmente in base alla via d’accesso – cioè alle zone dove viene effettuato il taglio cutaneo per accedere all’articolazione – e al grado di invasività dell’intervento

La via anteriore diretta è una tecnica che si avvale di una via d’accesso nella parte anteriore del corpo (la zona dell’inguine) e che è scarsamente invasiva visto che non prevede tagli muscolari. Rispetto alle tecniche tradizionali (laterale e postero-laterale) l’incisione cutanea è ridotta (8-10 cm anzichè 15-20 cm) e l’accesso all’articolazione avviene divaricando semplicemente i capi muscolari senza necessità di disinserirli (per approfondire leggi qui).

È facile comprendere come un intervento in grado di risparmiare a tal punto i tessuti abbia tra i vantaggi principali dei tempi di recupero notevolmente ridotti oltre che un risultato estetico migliore. Altri punti di forza della via anteriore diretta rispetto alle tecniche tradizionali sono: ridotta zoppia e minor dolore nell’immediato periodo post operatorio, riduzione del rischio di lussazione, minor perdita di sangue, ripresa più rapida della funzionalità articolare.

Nonostante questi vantaggi, la via anteriore si ritiene spesso non indicata per tutti i pazienti. Per un chirurgo con poca esperienza in questo tipo di intervento infatti, i pazienti obesi o con massa muscolare molto rappresentata non sono candidabili. Anche le alterazioni morfologiche dell’anca possono rappresentare una controindicazione, ma non in tutti i casi.

La displasia dell’anca

La displasia dell’anca è una malformazione congenita che porta gradualmente la testa del femore a dislocarsi dalla sede destinata a contenerla (la cavità acetabolare) ruotando al suo interno. Si tratta di un difetto imputabile a uno sviluppo anomalo dell’articolazione coxo-femorale in epoca intrauterina che, se rilevato e curato precocemente, è temporaneo e non porta conseguenze in età adulta. 

Se al contrario il difetto non viene rilevato e curato per tempo può provocare complicazioni nella deambulazione, coxalgia (dolore all’anca), artrosi dell’anca, zoppia. In genere si manifesta con sintomi dolorosi persistenti nella zona del bacino all’incirca all’età trent’anni. L’unico trattamento efficace per la cura della displasia in età adulta è la chirurgia protesica. Per sapere se la via anteriore diretta è una tecnica utilizzabile in questi casi dobbiamo distinguere a seconda del grado di gravità:

  • grado 1 e 2 (lieve): la via anteriore è utilizzabile
  • grado 3 (il 75% della testa femorale è fuori dalla sua sede): va valutato caso per caso
  • grado 4 (elevato): l’intervento è difficile e si perde la mini invasività.

È il chirurgo a effettuare la valutazione. Maggiore è la sua esperienza in questo tipo di intervento maggiore sarà la possibilità di effettuarlo anche nei casi più delicati.

Le fratture del femore

La frattura del femore è una condizione piuttosto comune negli anziani di età compresa tra i 70 e i 90 anni. Dopo i settant’anni infatti la densità ossea tende a diminuire e le fratture diventano più probabili. Il femore, che è l’osso più lungo e resistente del corpo, con l’avanzare dell’età perde di resistenza mentre il carico da sopportare non diminuisce a sua volta. Ciò comporta un aumento dell’incidenza delle fratture al femore soprattutto nella zona in prossimità dell’anca, spesso nella regione del collo del femore. 

Mentre le fratture laterali (cioè di quella parte del femore molto vascolarizzata che si localizza sul fianco) vengono in genere ricomposte e fissate tramite una placca o un chiodo, le fratture del collo del femore vengono trattate con una protesi. Questi tipi di fratture possono essere trattate per via anteriore con ottimi risultati. Il paziente – di solito anziano – ha un importante giovamento da questa tecnica grazie alla ridotta invasivitá ed al risparmio muscolare. Per sapere se sia o meno possibile intervenire con la via anteriore è necessaria una valutazione che ci aiuti a comprendere in maniera dettagliata l’anatomia dell’anca e ciò è possibile tramite un’indagine radiologica effettuata con una TAC.

Via anteriore sì o no?

Come avete compreso dalle righe precedenti, non esiste una risposta univoca a questa domanda. In ogni caso va effettuata una valutazione molto approfondita dell’anatomia dell’articolazione e delle condizioni cliniche generali del paziente. Inoltre è necessario che il chirurgo abbia maturato una buona esperienza in questi tipi di intervento. Il rischio principale, se il chirurgo non ha sufficiente esperienza, è quello di una durata troppo prolungata dell’intervento con conseguente maggior necessità di anestesia e soprattutto maggior rischio di infezione.

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