L’età media in cui i pazienti si sottopongono a impianto di protesi ortopediche è in continuo calo. Fattore determinante in questa statistica è senz’altro l’incidenza dei pazienti sportivi agonisti e di tutti coloro che praticano un’attività sportiva in maniera intensa e continuativa che, a causa dei ripetuti stress cui sottopongono le articolazioni, sono soggetti a un’usura precoce delle cartilagini. Ma l’impianto di una protesi ortopedica significa per forza l’abbandono dell’attività agonistica? Vediamolo insieme.

Artrosi secondaria, la malattia degli sportivi

Lo sport fa davvero bene? È questa la domanda che spesso mi sento rivolgere dai miei pazienti più giovani che non si capacitano di come l’artrosi, che nell’immaginario collettivo è ancora considerata la malattia dei nonni, possa colpirli così precocemente. 

La risposta alla domanda di partenza naturalmente è sì: come sappiamo una vita attiva è la chiave per un buon invecchiamento sia dal punto di vista cardiovascolare che dal punto di vista dell’apparato locomotore, ma ci sono le dovute eccezioni. Lo sport a livello agonistico infatti spinge il corpo oltre i propri limiti e richiede sforzi ripetuti e spesso eccessivi sulle articolazioni. Va da sé che l’invecchiamento delle articolazioni acceleri in maniera significativa rispetto al normale, con conseguente usura precoce delle cartilagini e con tutto ciò che ne consegue. Stiamo parlando di quella che viene definita artrosi secondaria e che colpisce, oltre agli sportivi, anche i lavoratori pesanti che sono costretti a sottoporre per tanti anni le articolazioni a carichi eccessivi.

Le articolazioni più a rischio

Durante la pratica sportiva le articolazioni sono sottoposte a carichi molto superiori rispetto a quanto non debbano sopportare nella vita quotidiana. Solo per fare qualche esempio, si è calcolato che durante la corsa il carico cui è sottoposta l’anca è il 550% del peso corporeo, come se un uomo di ottanta chili ne pesasse più di quattrocento. Per il ginocchio il carico è ancora più elevato raggiungendo, durante l’atterraggio da un salto in corsa, il 1040% del peso corporeo sulla femoro-rotulea e addirittura il 1670% sulla femoro tibiale. Anche la spalla è un’articolazione a rischio soprattutto in sport quali il tennis, la pallavolo e il nuoto: in un allenamento amatoriale in piscina si arriva anche a 500-600 bracciate al giorno, numeri che aumentano anche di venti volte nel nuoto agonistico. 

La conclusione è che maggiore è l’attività, maggiore è l’usura e dunque lo sport agonistico può essere una delle cause di artrosi secondaria che rende necessario l’impianto di protesi. Ma cosa accade dopo l’impianto? Lo sport ad alti livelli è del tutto precluso?

Le tecniche mini-invasive che preservano i tessuti

Come ho già scritto più volte sul mio blog, le moderne tecniche chirurgiche e i materiali utilizzati oggi per le protesi consentono, rispetto al passato, il ritorno a una vita pressoché normale dopo l’impianto. Per chi pratica sport ad alto livello il discorso è senz’altro più complesso anche se alcune accortezze possono consentire il ritorno allo sport in totale sicurezza. Nota è la vicenda del Tennista Andy Murray che, dopo essersi sottoposto a un intervento di protesi d’anca, è tornato sui campi internazionali più prestigiosi. Tra gli accorgimenti più importanti da osservare dopo l’impianto:

  • mantenere un peso corporeo controllato (il carico, come detto, si moltiplica sulle articolazioni durante il gesto sportivo)
  • eseguire una preparazione atletica specifica in protezione dell’articolazione e non presentarsi mai alle competizioni in cattivo stato di forma
  • praticare sport che si praticavano già prima dell’intervento (l’esperienza migliora la percezione del rischio)
  • evitare sport ad alto impatto e a rischio di caduta.

Parlando di tecniche chirurgiche, quelle mini-invasive hanno l’obiettivo di preservare il più possibile i tessuti del corpo e questo si traduce in un vantaggio notevole per tutti e ancor più per gli sportivi.

La protesi di rivestimento

Il caso del tennista Andy Murray di cui abbiamo parlato poco fa è esemplificativo. Il tipo di impianto utilizzato su questo paziente è la cosiddetta protesi di rivestimento. Si tratta di una tecnica che preserva gran parte del tessuto osseo perché la testa del femore non viene tagliata, ma semplicemente rivestita con una coppa metallica. È una tipologia di protesi molto utilizzata nei pazienti sportivi, ma purtroppo ha indicazioni molto ridotte, ad esempio non può essere utilizzata nelle pazienti donne.

La via anteriore

La via anteriore è un tipo di accesso chirurgico per l’impianto di protesi d’anca molto rispettoso dei tessuti molli. Su persone sportive rappresenta un grande vantaggio perché i muscoli non vengono in alcun modo tagliati né i tendini disinseriti come invece avviene nelle tecniche tradizionali. È intuitivo comprendere quali siano i vantaggi: muscoli non tagliati e non suturati sono molto più forti ed elastici (dopo il taglio si forma una cicatrice), i tempi di recupero dopo l’operazione sono ridotti ed è possibile riprendere più in fretta gli allenamenti. Nelle prime fasi post intervento è anche possibile riprendere a muoversi più in fretta perché il rischio di lussazione della protesi è praticamente nullo.

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