Tipologie di protesi d’anca

Totale, parziale, di revisione o di rivestimento. Le protesi d’anca non sono tutte uguali perché diverse sono le patologie che ne richiedono l’impianto, differenti sono i pazienti e sempre diverso è lo stato dell’articolazione da curare. Qui di seguito una carrellata delle varie tipologie di protesi con un cenno ai materiali e alle vie d’accesso. 

Perché impiantare una protesi d’anca?

L’articolazione dell’anca ha, tra le altre, una funzione importantissima: quella di sostenere il peso del corpo. Quando l’articolazione è colpita da una patologia che ne compromette la funzionalità, può essere necessario sostituire le porzioni di tessuto danneggiate con impianti artificiali in grado di replicarne l’anatomia garantendo al contempo un buon recupero della mobilità. Le patologie che più spesso possono richiedere l’impianto di una protesi d’anca sono:

  • coxartrosi
  • artrite reumatoide
  • frattura o necrosi della testa del femore
  • displasia
  • conflitto femoro-acetabolare
  • traumi pregressi (ad es. la lussazione dell’anca).

L’indicazione principale è comunque sempre legata alla sintomatologia. Quando la patologia comporta dolore intenso e continuo e limitazione funzionale e quando le terapie conservative non sono più in grado di garantire al paziente una qualità della vita soddisfacente, il ricorso alla chirurgia protesica rappresenta l’unica scelta risolutiva nel combattere i sintomi e restituire una buona funzionalità all’articolazione.

Le diverse tipologie di protesi 

Parlando genericamente di protesi d’anca commettiamo un errore di approssimazione: questi impianti infatti possono essere di diverso tipo e si differenziano in base a quali sono le porzioni articolari che vengono sostituite. 

La tipologia di protesi più comune è la protesi totale che sostituisce entrambi i compartimenti articolari: la testa del femore e l’acetabolo. In alcuni casi, solitamente nei pazienti più anziani con una frattura del collo femorale, è anche possibile sostituire solo la parte del femore preservando quella acetabolare in quanto ancora rivestita di cartilagine, si parla in questo caso di protesi parziale o endoprotesi.

Negli ultimi anni si è andata diffondendo sempre di più la cosiddetta protesi di rivestimento. Si tratta di un impianto che non va a eliminare la testa femorale che viene invece rivestita da una coppa metallica. Rappresenta un’opzione molto interessante – si risparmia il collo femorale e in caso di revisione dell’impianto si riesce a mettere una protesi standard – ma ha lo svantaggio di indicazioni piuttosto limitate (ad esempio non è applicabile sulle donne) come vi avevo già illustrato qui.

La protesi di revisione infine è quell’impianto che si inserisce al posto di una protesi ormai troppo vecchia o danneggiata. In questo caso l’intervento prevede la ricostruzione dell’osso residuo e dei tessuti molli prima della fissazione delle nuove componenti all’osso.

I materiali

La protesi d’anca è costituita da due parti fondamentali: quella femorale è formata da uno stelo che si inserisce nell’osso e da una testina di metallo o ceramica mentre quella relativa al bacino è una sorta di cupola che si inserisce nell’acetabolo e al cui interno viene posto un inserto di polietilene o ceramica.

Un’ulteriore distinzione è quella rappresentata dalle protesi cementate o non cementate. Quando le condizioni dell’osso lo richiedono è infatti possibile inserire un collante, il cemento acrilico, che favorisce una migliore aderenza dell’impianto all’osso e in caso di osteoporosi funge anche da riempimento. Le protesi non cementate sono invece costituite da un particolare materiale – il titanio poroso oppure rivestito di idrossiapatite – che è in grado di favorire l’integrazione ossea e sono in genere utilizzate nei pazienti più giovani.

Le vie d’accesso

Quale che sia la tipologia di protesi scelta dal chirurgo per il paziente, anche l’intervento vero e proprio può essere eseguito in diverse maniere a seconda della via d’accesso utilizzata. Il taglio necessario per accedere all’articolazione può essere infatti effettuato in differenti zone del corpo e comportare o meno la sezione o disinserzione di alcuni muscoli, tendini o legamenti

Le vie d’accesso più comuni come la laterale e la postero-laterale offrono un’ottima visibilità al chirurgo, ma comportano traumi ai tessuti molli piuttosto importanti mentre la via anteriore diretta rispetta appieno i criteri della mini-invasività perché sfrutta lo spazio tra i muscoli senza la necessità di effettuare tagli muscolo-tendinei Se eseguita da un chirurgo esperto, ritengo la via anteriore nella maggior parte dei casi preferibile perché garantisce tempi di recupero ridotti e un risultato estetico migliore se raffrontati a quelli dell’intervento di tipo tradizionale.

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